Gruppo Vulkan

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27/28 Giugno : TRAVERSATA TRIESTE – BIHAC di Ferruccio Perini e Mauro Cian

Attivita’ 2002 TRIESTE BIHAC
Giovedì 27 e venerdì 28 giugno 2002 due soci del Gruppo Vulkan ( Mauro Cian e Ferruccio Perini)
hanno raggiunto in giornata la cittadina Bosniaca di Bihac pedalando per 11 ore sulle loro bici da strada e facendo segnare ben 265 km. sui loro contakilometri.
Partiti da Trieste alle 05/30 , arrivati a Bihac alle 19/00.
BASOVIZZA , DIVACA , ILIRSKA BISTRICA , RUPA , GORNJE JELENIJE , LIC , RAVNO , LEDENICE , OMAR , OTOCAC , ZALUZNICA , PRIJEBOI , IZACIC , BIHAC

 


27 Luglio : TRAVERSATA TRIESTE > BIHAC di Paolo Del Core

Ora Partenza da Trieste, via Luigi Mercantini 10, Scoglietto: 4:44

Ora Arrivo a Bihac, Bosnia Ezergovina, ponte sul fiume Una : ore 20:34

Km percorsi: 277,9

Dislivello approssimativo: + m 2700, - m 2500 c.a.

Tempo reale: 15h 45’

Tempo effettivo: 12h 19’

Media reale: 17,92 km/h

Media effettiva: 22,54 Km/h

Condizioni atmosferiche: ideali (variabile, fresco)

Condizioni di viaggio: solo con macchina di appoggio

Mezzo: mtb con copertoni 26x195 poco tassellati.

Motivazioni: lettura di “TS-Bihac”, appunti del “ranger” Mauro Cian spediti in data 19/7/02


OMBRE TRA I MINARETI

IN MOUNTAIN BIKE DA TRIESTE A BIHAC, PRIMA CITTA’ MUSULMANA SULLE ROTTE D’ORIENTE, ATTRAVERSO LE NEBBIE DI UN RECENTE PASSATO.

Il 27 luglio ho percorso in bici, da solo, in giornata, con un’auto di assistenza al seguito, i 278 chilometri che separano casa mia da Bihac, Bosnia Erzegovina, ripetendo, per lo più su strade secondarie o poco trafficate, una rotta ideale già studiata e seguita da due amici un paio di settimane prima.
Il racconto di quell’esperienza, l’accattivante intuizione di svegliarsi all’alba nel letto di casa e potersi riaddormentare alla sera sotto un minareto spostandosi solo con le proprie gambe, hanno acceso a tal punto la mia fantasia da mettermi appena possibile sulle tracce ancor fresche delle loro emozioni.
Così è stato; il primo raggio di quel sabato l’ho raccolto tra le brume mattutine della magica valle del Timavo superiore, mentre piccoli rapaci appollaiati sui pali telefonici osservavano indolenti il mio passaggio: quando quello stesso sole è sparito definitivamente dietro il Gola Plješevica ero già affacciato sulla grande terrazza del “Cafe Pavillon” a contemplare le limpide acque della Una con una gelida “Preminger” stretta nella mano.
Mi sono dovuto confrontare tuttavia con i numerosi spettri che popolano ancora agitati le foreste e i borghi della Lika, regione peraltro di rara bellezza: nugoli di fastidiosi pensieri hanno sciamato a tratti sull’asfalto o sul pavè di quelle strade, accompagnandomi negli ultimi fotogrammi di quest’intrigante avventura.
Alla fine però, dal luccichio della punta ramata del ricostruito minareto di Izacic o dalle struggenti ballate balcaniche dei ritrovi di Bihac, un profondo e liberatorio senso di pace.

… Sul fronte i serbi hanno lasciato una distruzione selvaggia, bestiale. Case sventrate, alberi carbonizzati. La cenere e la brina, sovrapponendosi, rendono tutto più grigio e sepolcrale. Nei boschi tenebrosi della Lika è il deserto umano…(1)

… A sinistra, dentro i primi lembi di un’abetaia antichissima, si diparte una strada asfaltata interdetta al traffico veicolare: dovrei essere sul passo di Cudin Klanac, a quota 798 metri, 2 km dopo Babin Potok e 11 km dopo lo scollinamento di Vrhovin. Il paesaggio è cambiato quasi all’improvviso e un ininterrotto orizzonte di boschi chiude a nord lo sguardo; consulto velocemente la ormai lisa “Freytag & berndt” 1:250.000 mentre Manu mi scatta una foto, l’ennesima, con sullo sfondo il grande cartello giallo che segnala il parco.
La mitica “scorciatoia di Plitvice” - trovata e provata da Mauro studiando il percorso migliore per coronare il suo sogno di raggiungere pedalando Bihac, prima città musulmana sulle rotte dell’est, in giornata da Trieste – è sicuramente qui, davanti a me.
Questo tratto di strada solitario che si insinua per 12 km all’interno del parco permette al ciclista di risparmiarne almeno 15 ed evitare integralmente la trafficatissima E71 che da Korenica sale alla sella di Vratnik per poi scendere a Plitvicka Jezera e all’ingresso ufficiale del parco.
Sono appollaiato sulla durissima “Vector plus rail” da troppe ore, più di tredici, e solo adesso ho la sensazione precisa di avercela fatta: con il sorriso che nutre spesso l’inconsapevole volto dei bimbi dò un bacio a Manu dandole appuntamento dopo circa 45’ al bivio di Priboj dove vedrò per la prima volta l’indicazione BiH, Bosnja i Hercegovina.
Alzandomi decisamente sui pedali macino pochi metri in salita, poi la stretta stradina, ingombra in più punti da frasche portate dal vento e aghi di pino, scende simile ad un toboga nel ventre della foresta.
Mi lascio inghiottire felice da questo scivolo vegetale, l’adrenalina copre la stanchezza come un velo di zucchero vanigliato sopra un vecchio panettone scaduto, il pensiero raccoglie ombre di un recente passato e raggi di un futuro possibile, giochi di luce si rincorrono frenetici nella sera del bosco donando ancora coraggio…
Ad un tratto sull’asfalto noto un segno di vernice gialla seguito dal numero 33: mi ricordo improvvisamente della dura maratona di Plitvice disputata a metà giugno e descritta da Dario e Silverio… La mente vola al nostro gruppo ed alla sua energia, alla sua profonda coesione… Le ombre si dissolvono mentre una luce ormai radente plana sulle mille acque di questo luogo dipingendo a pastello la radura di Plitvicki Ljeskovac, un pugno di case forestali e “vikendice” nel cuore della foresta…

… Piove su Plitvice e i suoi laghi, rumore d’acqua dappertutto, ghiaccio, boschi pieni di neve e qualche comignolo che fuma. Orsi e cinghiali sono spariti a causa della guerra. In compenso, i boschi sono pieni di maiali e vacche senza padrone. Il cane abbandonato di un serbo cerca tra i rifiuti…(1)

… Intuisco ad un bivio che la prosecuzione della “scorciatoia” se ne va a destra alzandosi improvvisamente e decisamente nel bosco: abbandono a malincuore la strada principale che costeggia il rio scendendo a nord verso i laghi inferiori, per inoltrarmi di nuovo nella penombra tra fusti centenari e un rado sottobosco. Salgo sviluppando ancora un buon ritmo in un magico e totale silenzio inciso appena dal ronzio della catena oliata; sono le 18 e 45 e sto entrando nella quattordicesima ora di questa inebriante avventura.
Il vecchio acciaio “Pine mountain” ’98 lubrificato e gommato per l’occasione, lo sento, non mi tradirà proprio adesso: dopo 243 chilometri di saliscendi rinchiusi nel computerino, durante i quali più di una volta mi sono perso od ho pensato di non farcela, è proprio lui, o meglio lei l’oggetto catartico, il mezzo comunque arcaico che ha permesso l’unione tra il mare adriatico e i solitari e desolati polje di queste regioni, attraverso diverse civiltà e idiomi, profonde differenze geografiche e storiche, tre confini, tre religioni e un passato prossimo di guerra…

…Domenica 31 marzo 1991, Pasqua: nel parco nazionale di Plitvice iniziano le prime sparatorie tra serbi e croati. Le autorità della regione, a prevalenza serba, hanno annunciato la secessione dalla Croazia e l’unione con Belgrado: è l’inizio della guerra civile. I serbi occupano il quartier generale del parco e cominciano l’espulsione sistematica dei 4000 croati che vivono in questa zona. Un poliziotto croato, Josip Jovic, assassinato proprio a Plitvice dai serbi quella triste Domenica, è la prima vittima di questa guerra insensata…(2)

…Eccovi racchiusa in una riga l’essenza totale, libera ed estrema del “viaggio” concentrata in un fazzoletto di chilometri, esaltata dalla libertà del gesto atletico, dalla solitudine, dal momento mentale propizio.
L’allenamento stagionale purtroppo è quello che è, ma in tandem con me pedala anche una grande convinzione che si ravviva ormai da sola, di chilometro in chilometro, dandomi un quieto benessere, come la dolce carezza di una mamma al piccolo affinchè chiuda gli occhi. Energia atavica, a volte nascosta, rinchiusa, tappata in qualche fiasca dimenticata che improvvisa riaffiora e bagna i ricordi, il passato, il presente, stempera rabbia e libera presagi nella splendida e inquieta poesia dello star soli in spazi nuovi, abbandonati in mille pensieri che il quotidiano al solito ci nega.
Un paio di ore fa, attraversando l’ininterrotta teoria di intonaci crivellati dei palazzi di Otocac, o appena più avanti, dopo il bivio di Gospic, osservando isolati e spettrali parallelepipedi di mura sparpagliati come dolmen nella desolata vallata, ho avvertito una sottile angoscia, un groppo: quei mattoni morti stavano là simili ad antiche vestigia di chissà quale lontana civiltà ed erano stati invece in un immediato passato stanze, cucine, lavelli, cani, odore di caffè, bambini e vestaglie, ora solo monumenti ad un Dio sconosciuto, relitti di una storia diversa ma eguale, il nodo infinito dei paradossi della nostra esistenza…

... Tutto questo ci fa dire che siamo diversi ma non immuni. Capire i Balcani ci è dunque indispensabile… …Manca soprattutto un’analisi approfondita del meccanismo dell’odio, quell’iniezione lenta di veleno che fa si che, in un bosco idillico, il fauno si trasformi in demone orrendo…(3)

… Il babau è volato veramente via o si è solamente nascosto nei recessi di questi boschi sterminati in attesa?
I misteri dei Balcani mi accompagnano sui lunghi e ventosi rettilinei della Lika; una leggera contro pendenza poi una decisa curva a sinistra: Nei pressi di un rudere ai lati dello stradone, tra i rovi di un terreno incolto che poteva esser stato un orto od un giardino, spunta un cartello nuovissimo bianco e rosso con un teschio: “pozor mine!”. Appena un centinaio di metri dopo, di là dalla strada, in un largo spiazzo di ghiaia, sostano una mezza dozzina di bisonti della strada: targhe di Zagabria ma anche magiare e rumene, un piccolo bifè, tavoli polverosi e mezzi litri di “Karlovacko” a spina; un pezzo d’uomo baffuto e tatuato stirandosi la schiena accenna divertito un saluto…

… I croati non capirono la profondità della paura serba di uno stato croato, i serbi non capirono la profondità del desiderio croato di avere uno stato…(4)

… L’angoscia richiama angoscia, soffi sinistri e improvvisi di vento, la scia di un camion o di una corriera con il suo odore di gasolio e chilometri, aria irrequieta che levita ancora a mezz’aria sopra queste terre aspre muovendo, come un’impalpabile mano fantasma, le alte e incolte festuche della piana.
Ma ora sono solo nel bosco, nella foresta grandiosa dove l’odore della guerra stempera, va via via mischiandosi con la resina, la terra, le foglie indecomposte, d’un tratto svanisce; ogni peccato sembra assolto, affiorano solamente di tanto in tanto le sepolcrali paure dell’infanzia: la notte incombente, la solitudine, lo schianto di un ramo, un inatteso alito di gelo.
Attimi.
Stanchezza soffusa.
Ecco finalmente in fondo all’ultima serie di curve uno spiraglio di luce, un rettilineo, la vallata con la strada principale e l’intensissimo traffico vacanziero di fine luglio: campers, roulottes e gommoni al traino, mucchi di biciclette aggrappati ai tetti di straripanti e bassissime station wagons, gruppi di bikers nero bardati rigorosamente made in Deutschland…

… Ricordo esattamente il momento in cui mi venne un brivido giù per la schiena all’idea che sarebbe scoppiata una guerra: era la mattina del 17 agosto, sabato, e leggevo il Vješnik in piazzetta di Trogir. C’era un servizio con interviste ai ragazzi dei paesi serbi dell’interno (la zona tra Benkovac e Knin) e le foto, le espressioni sulle facce…Erano sorridenti, eccitati come bambini, parlavano del loro ruolo di “guardie”, stavano coi fucili in mano pronti a difendere le loro case; insomma giocavano alla guerra. Io pensavo a che razza di vita del cavolo dev’essere per dei giovani stare fra quelle pietraie, un giorno dopo l’altro, che noia, quali aspettative per il futuro? All’improvviso qualcuno ti offre l’opportunità di vivere un momento eroico… Roba da brivido.
Comunque quei giorni radio Knin (i serbi in quelle zone ascoltavano solo ed esclusivamente i mass media serbi e credevano fedelmente ad ogni parola) aveva iniziato una campagna di diffusione del panico: proprio quel giorno là avevano annunciato che da Zagabria erano in arrivo trecento “specialci” croati armati fino ai denti.
Oplà! In un attimo furono su le barricate: ci capitai diritta sopra con la mia “126”… La strada per Plitvice era bloccata (la polizia mi rispedì sulla costa come migliaia di altri viaggiatori) e tutto il traffico normale più la valanga di turisti che rientravano dopo ferragosto – fra cui moltissimi italiani – si riversò sulla Jadranska Magistrala, strada stretta e piena di curve serpeggiante tra il mare e le pietraie del Velebit. Dalle due di pomeriggio alle dieci di sera per fare i cinquanta chilometri fino a Karlobag, sotto il sole battente, impacchettata in una colonna di trecento chilometri che andava da Zara a Fiume.
Il giorno dopo provai a fare un’altra strada dell’interno, su da Karlobag verso Plitvice e fu una guidata memorabile perché la bandiera con la stella rossa che sventolava su una serie di centri indicava chiaramente il territorio che un anno dopo avrebbe costituito la Kraijna…(4)

… Priboj: Manu mi attende sul bivio sorpresa di vedermi già lì; un veloce sorso di Gatorade al limone, due o tre noccioline e riparto lungo lo stradone deserto e asfaltato di fresco che porta al confine.
Suona il cellulare nello zainetto, scoprirò più tardi che era Franz, reduce, con Alce e Paolin, da una corsa esplorativa sopra l’Isonzo sui camminamenti della grande guerra; troverò anche altri SMS: fa piacere tenersi in contatto, starsi vicino, raccontarsi, stimolarsi… Sono questi piccoli tasselli d’amicizia a fermare sulla bacheca le avventure più ghiotte, a dare un senso preciso alla fatica, a rendere i soliti panni quotidiani senza pieghe e indossabili anche il giorno dopo.
Gli ultimi chilometri sono un crescendo di energia e sensazioni: picchiando a 60 all’ora verso Licko Petrovo Selo, ultimo insediamento croato prima della frontiera, immediatamente dopo una trincea rocciosa lo sguardo vola oltre il guard-rail verso una distesa appesa sotto un velo di foschia e investita dalla luce radente del tramonto: la piana di Bihac.
I freni cigolano, appoggio in trance la bici sul palo d’un segnale e tiro fuori la piccola Nikon 28-80…Un grandangolo memorabile, a scorgere come torri di un regno lontano le punte ramate dei minareti di Izacic, Kamenica, e più lontano il grande minareto di Bihac…

… Giovanni si trovò improvvisamente affacciato alla merlatura perimetrale: dinanzi a lui, inondata dalla luce del tramonto, si sprofondava la valle, si aprivano ai suoi occhi i segreti del settentrione. Un vago pallore si era fatto sul volto di Drogo, impietrito, che guardava. La vicina sentinella si era fermata e un silenzio sterminato pareva esser sceso fra gli aloni del crepuscolo…(5)

… Un colpo di clacson. Manu, restata indietro a telefonare, mi supera.
Mi scuoto; laggiù, sopra la striscia d’asfalto traversa sulla prateria, parabrezza di auto in colonna rimandano a intermittenza gli ultimi raggi di sole.
Il confine.
La mia via della seta oggi passa di lì.
Sogno genera sogno, e la notte, pur lunga, lo consegna al ricordo poco prima di spegnersi.
Frontiere.
La mia cuccia stanotte sarà un caravanserraglio.
Lì annuserò una giornata bruciata veloce come l’incenso.
Un ultimo sorso di birra speziata.
Dormirò in pace aspettando domani.

E subito riprende / il viaggio /come / dopo il naufragio / un superstite / lupo di mare (6)


Paolo Del Core


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:

(1) – Paolo Rumiz, Maschere per un massacro, Editori riuniti, 1996.
(2) - internet, Historia de Croatia, www.puente-e.com/eu-este/croacia/historia-croatia.html
(3) - Demetrio Volcic, introduzione a Paolo Rumiz, La linea dei mirtilli, OTE Il Piccolo, 1993.
(4) - internet, Paola Lucchesi, www.peacelink.it/webgate/yugoslavia/msg00848.html
(5) - Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari, Mondadori, 1945.
(6) - Giuseppe Ungaretti, Allegria di naufragi, da “Vita d un uomo, 106 poesie 1914-1960” Oscar
Mondadori, 1966