SVETO BRDO, IL MARE DI GHIACCIO...
SVETO BRDO, D'ESTATE, DALLA CIMA DEL VAGANSKI…
SVETO BRDO IN PRIMAVERA...
SVETO BRDO DA CICINA DOLINA, MAGGIO INOLTRATO...
TULOVE GREDE DA SVETO BRDO, ESTATE...
ORA IMMAGINATEVI TUTTO CONGELATO IN UNO STERMINATO MARE DI
GHIACCIO, BATTUTO DA UN VENTO INCESSANTE, CRISTALLIZZATO IN UNA GELIDA,
INCREDIBILE FIABA: SVETO BRDO, L'INVERNO ESTREMO DEL VELEBIT:
Manca una decina di minuti alle sei quando
due pesantissime sagome rischiarate dai led delle frontali abbandonano
l'asfalto del parcheggio per risalire il canyon di Paklenica.
Mormorando come un inno il motto del president Segarich "Le cime
son innevate, lassù dovete andare" i poco convinti sci-alpinisti
mordono gli asciutti calcari della valle, scafi ai piedi e sci in spalla,
per un totale di circa venti chili di zaino affardellato.
Le ore scorrono lente sotto il dolce peso dell'attrezzatura, albeggia
da levante e le creste del Vaganski appaiono sopra il fondo valle con
il loro scarso mantello bianco, "dura e la marcia ma alto il moral",
canticchiano gli impavidi, alto purtroppo come il fronte della neve.
Dopo un'ora e quaranta di marcia il manipolo lascia a sinistra il Borisov
dom per inoltrarsi deciso nell'alta valle del torrente Paklenica piegando
decisamente ad est in una culla di faggi centenari adagiata tra le maggiori
elevazioni del Velebit e il Crni vhr.
Ci innalziamo a lungo in traverso nel bosco bestemmiando il malefico
connubio sci-rami bassi, maledendo colui che ravvisando nevi perenni
ed abbondanti ci ha spedito in loco bardati da sciatori, superando a
tratti chiazze di neve indurita o rivoli ghiacciati fino a scorgere
oltre uno scollinamento un'inconfondibile cupola bianca: Sveto Brdo,
1752 metri, seconda cima del Velebit, di solo cinque metri inferiore
al vicino Vaganski ma di gran lunga più maestosa, evidente, chiudendosi
con essa l'ininterrotta serie di elevazioni e doline sospese tutte al
di sopra dei 1500 metri che caratterizzano il tratto più meridionale
del massiccio
D'un tratto un sorriso pazzoide si stende sul volto dei disperati, la
fatica sparisce, s'intonano nuovamente allegre marcette, il volto del
presidente appare bonario e sornione sfumato nelle pieghe della corteccia
di un faggio... Arriviamo finalmente all'agognato limite della neve,
l'altimetro segna 1100 metri, l'orologio le 10 e 30: quattro ore e mezza
di marcia per 1050 metri di dislivello prima di togliere i maledetti
sci dallo zaino; Ivine Vodice, il piccolo bivacco dove lasceremo il
grosso del peso e trascorreremo al ritorno la notte dovrebbe essere
appena più in alto.
Una grossa zampata di plantigrado proprio sul sentiero firma questa
prima neve a ricordare ai foresti triestini chi è il padrone
di casa.
Gli eroi proseguono la missione zigzagando nella neve durissima tra
scogli affioranti e faggi schiantati fino a raggiungere in mezz'ora
lo stupendo poggio di Ivine Vodice, 1250 metri. La casupola, orientata
verso il mare, sorge al limite di un incredibile radura sospesa; un
bosco d'alto fusto con finalmente un buon innevamento la sovrasta a
nord, lasciando ben sperare per il proseguo della "gita".
Il tempo di scaricare il materiale da bivacco e ci innalziamo decisi
nel bosco verso il limite di cresta, trecento metri più in alto;
appena raggiunta la sommità, il terreno si apre in un incredibile
scenario di gelo, elevazioni e doline dipingono uno sterminato oceano
ghiacciato. I rampant non tengono, il vento è fortissimo. Dopo
un paio di maldestri tentativi di proseguire sci ai piedi decidiamo
di indossare i ramponi, assicurando gli sci a delle sporgenze rocciose
per non trovare sorprese al ritorno. In posizione da equilibrista, aggrappato
ad un mugo sotto un vento spaziale, mi accorgo felice che ho i ramponi
regolati sui Koflach da neve e non sui Dachstain da sci-alpinismo...E'
bello tirar fuori senza guanti cacciavite e pinza per regolare viti
e bulloni in quella simpatica posizione, ma è giusto pagare le
proprie mancanze; il Fox, severo ma giusto, se la ride nel vento coi
suoi ramponi attacco rapido.
Finalmente, petto all'alpe, ci avventuriamo nel nostro himalaya costiero,
dove enormi dune gelate si alternano a profondi e candidi avvallamenti.
Alle 14 in punto raggiungiamo l'irreale croce di vetta incrostata di
ghiaccio: il vento è improvvisamente calato quasi a lasciarci
una finestra di pace per fotografare quel momento.
Il panorama si perde verso la Lika, steppa indistinta di neve dai tratti
decisamente siberiani, il lontano Dinara, appena velato da nubi striate,
Zara, le isole e la linea d'orizzonte, le magiche dita rocciose di Tulove
Grede. L'ultima edizione della carta Smand dice chiaramente che siamo
circondati per due terzi da zone minate, tristi storie recenti dicono
che questa cima, per la sua importanza morale e strategica, fu a lungo
contesa tra serbi di Kraijna e croati che avevano la loro postazione
fissa più vicina proprio a Ivine Vodice.
Noi piantiamo l'ideale bandiera Vulkan, multicolore e apartitica, simbolo
di convivenza e amicizia, sotto forma di un autoscatto in prossimità
della croce, mentre una nube, isolata e altissima, prende improvvisamente
i dalmati connotati del volto presidenziale indicandoci con benevolenza
la via del ritorno.
Sveto Brdo in invernale, 13 -14 febbraio 2003;
avvicinamento a piedi fino a q.1100, sci fino a quota 1500, ramponi
gli ultimi 350 metri, dislivello + -1850 metri c.a., sviluppo km 40,
2 giorni, 1° giorno tempo 8h in salita, 1h 40' in discesa, km 25,
pernotto a Ivine Vodice, 2° giorno 2h 50' in discesa, km 15.
Poldo e Fox